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Giallo, di Dario Argento

Giallo.
Il Terzo Occhio ha atteso, paziente, il momento giusto per guardare con la sua pupilla dilatata questo film.
Occorreva una certa preparazione.
Troppo era già stato detto.
Dei difetti, della sfortuna, della bassa qualità, della mancata distribuzione nelle sale con uscita direttamente in dvd, del disastro cinematografico in cui è incorso il maestro dell’horror italiano.
Eppure di carte da giocare questo film ne ha.
Adrien Brody, Premio Oscar, convincente nelle sue espressioni da duro dal passato tenebroso, la sigaretta appesa alle labbra, lo sguardo che sa di morte e compassione di fronte all’insistenza disperata della co-protagonista del film, una Emmanuelle Seigner che, nonostante l’età, è ancora bella e dotata del giusto fascino.
Lui, un ispettore che chiamano lupo solitario, perché diverso dagli altri, chiuso, asociale, dal passato tragico, vittima di quel sistema che ora cerca di combattere.
Lei, sorella di una delle vittime del pericoloso serial killer chiamato Giallo (per via dell’itterizia), sempre pronta a rompere le uova nel paniere a Brody, una palla al piede difficile da scollarsi di dosso, che finirà, negli ultimi istanti della pellicola, col prendere a parolacce il nostro eroe solo per aver fatto il suo dovere.
Già, il finale. Attenti agli spoiler.

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Morte in aprile, di José Luis Correa

Lei si addormentò, o finse di addormentarsi, molto prima di me, non per niente io mi ero alzato dopo mezzogiorno. Mi dedicai a sentirla respirare accanto a me, ad ascoltare i suoi gemiti, a sentire il suo profumo, a vegliarle il sonno, ad accoglierla nell’incavo delle mie braccia quando si girò e si accoccolò lì come se avesse intenzione di restarci a vivere per sempre. E mi dedicai a restituirle ognuno dei suoi baci, veri o sognati, e a ricevere il calore del suo corpo e a desiderarla di nuovo e sempre con dolcezza.

Torna Ricardo Blanco, detective di Las Palmas che sembra venuto fuori da un altro tempo, duro e cinico a volte, ma anche goffo e sentimentale, creatura sull’orlo dell’estinzione, che non si rassegna alle ingiustizie e lotta strenuamente contro di esse, anche gratis se occorre, pur di mettere a nudo le nascoste verità in cui viene continuamente invischiato.
Questo secondo capitolo delle sue avventure è forse più profondo rispetto al primo, la sua personalità si delinea in maniera più precisa, dipingendone la forza e la fragilità con tratti da maestro. Correa, a suo modo, è un maestro. Abile nel tessere una ragnatela in cui invischiare il suo amato protatonista, abile nel mettere in piedi situazioni anche al limite del credibile, che il lettore finisce per accettare per buone perché, si dice, è il mondo di Ricardo Blanco a essere al limite del credibile.

Le passioni del detective vengono stravolte in questo romanzo da un serial killer spietato e lucido, pur nella sua pazzia. Le persone che ama verranno trascinate in un vortice che rischia di portarsi via quello stesso mondo di Blanco, così variopinto, vivido, indimenticabile.

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L’intervista, di Stefano Pastor

La cantina.
Lui è in quella cantina.
La consapevolezza arriva a poco a poco. Questo è il luogo dove, per otto mesi, Umberto Raschi ha sfogato i suoi istinti più bestiali, dove otto bambini sono stati uccisi, dove le sevizie, le violenze e le torture erano all’ordine del giorno. I muri sono impregnati di paura e di dolore. Gli sembra che siano accanto a lui, li sente piangere, lamentarsi.
Ha paura di impazzire. Non c’è nessuno, lo sa di essere solo.

Quando ho cominciato a leggere questo romanzo, mi aspettavo delle cose. Conoscendo l’autore per aver letto altri suoi lavori – sempre e solo racconti – mi aspettavo un buon libro. Certamente non mi sarei aspettato, però, di non riuscire a staccare gli occhi dalle pagine.
Sì, perché L’intervista è una storia che cattura, forse per la delicatezza del tema trattato, forse per l’abilità di Pastor nel dipanare lentamente una matassa che all’inizio riesce a tenere aggrovigliata ben bene in modo che non si possa comprendere quale sia la verità nascosta nel passato.
Raccontare qui, ora, brandelli di trama, sarebbe un vero peccato. Rovinerebbe la sorpresa.

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Recensione: Scream 4

Ci risiamo, la trappola dei sequel continua. In questo caso, come recita lo slogan del film, le regole sono cambiate. Uno slogan, appunto, che si diverte a prendere in giro i film horror e la loro prevedibilità. Quello che stupisce è come, in realtà, lo stesso Scream 4 risulti del tutto prevedibile. Alla fine non è che un remake dello Scream originale, con opportuni accorgimenti per mascherarlo ma, si sa, un fan dell’horror è difficile da ingannare.
Peccato perché, fino a dieci minuti dalla fine, si intravedeva uno spiraglio, la possibilità di uscire totalmente fuori dagli schemi, con un finale a sorpresa non nel contenuto ma nel suo sviluppo più estremo. Ma potevano Wes Craven e tutta la produzione permettersi di fermare qui una delle serie più gettonate degli ultimi anni? Potevano permettersi di rinunciare agli incassi di altri futuri sequel? Evidentemente no.Eppure eravamo vicini. Uccidere Sidney Prescott e darla bere a Linus e a Gale. Fregare tutti quanti. L’assassino, in questo caso, era vicino a farla franca.

Bacchiglione Blues, di Matteo Righetto

Ivo si prese cura della sua nutria bianca e nel pomeriggio ripassarono a memoria la seconda parte del piano B riprendendo in mano la carabina San Swiss, la Caracal e la Smith & Wesson, e preparandole a festa per l’importante incontro del giorno dopo. Ché, come diceva sempre Tito: per ottenere il meglio, prepararsi al peggio.«Avete seppellito per bene i due cadaveri?» aveva chiesto agli altri due quando furono di ritorno.«Meglio di così non si poteva. Non li troverà mai nessuno», disse Toni. Ivo rise e disse:«A parte i vermi. Scavando ne ho visti di bianchi e grossi come il mio pollice, cazzo. Si chiamano camminatori della notte… Sai che scorpacciata si faranno
Eccoli qua, Tito, Ivo e Toni, tre delinquenti senza scrupoli e con il quoziente intellettivo di un camminatore della notte, per dirla alla Ivo-maniera. Il libro ci mostra come la stupidità umana possa mandare all’aria un piano che, sia pur imperfetto, aveva buone basi per andare a buon fine.Tito, il meno cerebroleso del gruppo, organizza il rapimento della bella moglie di un ricco industriale del padovano. Ivo, fissato con qualsiasi tipo di animale, specie se raro, e Toni, il rompipalle del trio (sempre per dirla alla Ivo-maniera), non lesinano colpi di testa e discussioni da osteria durante tutto lo svolgimento della vicenda, strappando più volte il sorriso al lettore.
Certo, si tratta di un divertimento amaro, incentrato sul compatimento per l’idiozia dei personaggi, che non potrà che condurli verso un finale inevitabile, sia pur scontato.Il ricco industriale e il suo braccio destro, per liberare la sfortunata donna, decidono di coinvolgere un’altra banda di criminali. Così, mentre è in corso il Bacchiglione blues Festival, le due fazioni movimenteranno un po’ le cose, diffondendo il caos durante il concerto di un gruppo locale, scatenando un inseguimento in auto che li porterà fino in cima a una montagna.

Le ambientazioni sono suggestive, campi di barbabietole avvolti in una grigia nebbia, torme di insetti a infestare la zona, un silenzio colmo di un’aria asfissiante.

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Dylan Dog – Dead of night

Ecco una visione che il Terzo Occhio non poteva perdersi, vuoi perché un film sull’indagatore dell’incubo era atteso da anni da tutto il pubblico “dylaniato”, vuoi per l’insolito exploit degli americani, interessatisi alla trasposizione cinematografica di un fumetto tutto italiano, vuoi per il coro di dissensi pervenuti da una critica sempre molto attenta alle esigenze degli spettatori. Il Terzo Occhio doveva vedere con la sua nera pupilla questa pellicola e giudicarla senza preconcetti.

Veniamo innanzitutto alle differenze plateali, già note alla vigilia della prima: l’assenza di Groucho, braccio destro di Dylan nullafacente ma dallo humour sopraffino, e di qualsiasi altro personaggio noto nella serie (l’ispettore Bloch e l’inventore strambo Lord Wells su tutti), la location diversa (non Londra ma una cupa New Orleans trasformata in un calderone di mostri), il colore del maggiolone (nero anziché bianco). Certo, di problemi questo film ne ha incontrati parecchi: il ridotto budget non ha permesso alla produzione di girare il film oltreoceano e non ha consentito di acquistare i diritti per impiegare la figura di Groucho Marx; la Disney detiene i diritti in esclusiva di utilizzo dei maggiolini bianchi per via di Herby, maggiolino protagonista di una serie di film negli anni 70-80.

Ma a fronte di queste diversità, a loro modo forzate, ve ne sono altre dettate da un riadattemento approssimativo del personaggio centrale. Dylan Dog, infatti, non è quel tipo introverso e allampanato che conosciamo, ma un giovane palestrato e spavaldo, dal grilletto fin troppo facile. Siamo abituati a un individuo riflessivo e non a un uomo d’azione come quello proposto dall’attore Brandon Routh (Superman Returns).

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Incontro con Edizioni XII – Il Premio Circo Massimo e le opportunità dei concorsi letterari

Dopo il grande successo delle prime due edizioni, quest’anno il Circo Massimo originale concorso indetto da Edizioni XII, apre i battenti anche ai racconti di genere giallo, thriller e noir, affiancando la novella sezione Mezzanotte ai racconti di genere fantastico (sezione Eclissi).

A questo proposito il nostro Daniele Picciuti ha incontrato Gabriele Lattanzio organizzatore dei premi per Edizioni XII
[Nero Cafè] Ciao Gabriele, intanto benvenuto su Nero Cafè. La prima domanda che vogliamo porti è questa: come mai la decisione di varare una sezione dedicata ai generi giallo, thriller e noir?

 

[Gabriele Lattanzio] Ciao Daniele, grazie. La decisione è maturata poiché volevamo dare risalto anche alla collana Mezzanotte del catalogo di Edizioni XII (i cui generi sono appunto Thriller, Noir, Pulp, Azione, Avventura). Il Circo Massimo, il nostro concorso più illustre, poteva darci questa opportunità e abbiamo optato per il cambiamento.

[NC] Parlando del Circo Massimo, come è avvenuto il suo concepimento? Quali sono state le maggiori difficoltà nel realizzarlo?

[GL] Il tutto è nato da una chiacchierata tra Daniele Bonfanti e Luigi Acerbi successivamente siamo stati io e Daniele a definire meglio il concept del concorso (sempre coadiuvati dai pareri dello staff di XII). L’idea era di lanciare un concorso che potesse raggiungere il prestigio di altri illustri predecessori, come l’Alien o il Lovecraft. Per farlo, però, c’era bisogno anche di un’idea che portasse un po’ di freschezza, che stimolasse l’interesse degli autori, che avesse originalità. Il processo di creazione è stato lungo proprio per studiare questi aspetti, senza contare che anche redigere il bando (essendo il Circo Massimo molto peculiare) è stata una bella fatica.

[NC]Dalla sua creazione a oggi, quali pensi siano stati i cambiamenti più significativi?

[GL] I maggiori cambiamenti sono stati apportati proprio nell’edizione 2011, le cui iscrizioni chiuderanno ad aprile: anzitutto, come dicevi tu prima, a differenza del 2009 e del 2010 le sezioni non saranno più Fantastico e Fantascienza, ma Eclissi (che comprende Fantastico, Horror, Weird, Fantascienza, Fantasy) e Mezzanotte dopodichè abbiamo deciso di aumentare il limite di caratteri, portandolo da venti a trentamila; per ultimo, abbiamo deciso di reintrodurre la formula a gironi (nel 2010 erano previsti solo scontri diretti fin dal primo turno).

 

 

Il sentiero di rose, di Marcello Gagliani Caputo

Nel panorama degli esordienti c’è sempre qualche nuovo nome interessante e il Terzo Occhio stavolta si è posato su Marcello Gagliani Caputo, che ha composto un thriller di ambientazione italiana dalle potenzialità in parte inespresse.
Il libro è strutturato in modo che il lettore segua tre vicende diverse, convergenti nel finale.
C’è un commissario a cui viene affidata l’indagine su una serie di delitti che ricalcano in tutto e per tutto degli omicidi avvenuti quattro anni prima, l’ultimo dei quali ha visto la morte di sua figlia. E quindi c’è introspezione psicologica, c’è il conflitto, la paura di non essere di nuovo all’altezza, il coraggio di riprovarci, la determinazione di un uomo spezzato.
Ci sono due ragazzi che si incontrano e si innamorano. La loro storia è però segnata dalla ricomparsa di un ex-fidanzato geloso e dalla nascosta minaccia di questi delitti, che sembrano puntare a dividerli, in un modo o nell’altro.
C’è un vecchio psicologo costretto a rituffarsi nel passato per affrontare i suoi fantasmi e mettere fine, una volta per tutte, agli omicidi del “paparazzo”, come viene chiamato il serial killer delle rose, che ama sistemare le sue vittime in pose che ricordano quelle di un calendario.

Bermuda: il Triangolo maledetto

Nell’Atlantico Occidentale, al largo della costa sud orientale degli Stati Uniti, c’è una zona che forma quello che è stato definito un triangolo: esso si estende dalle Bermude, a nord, fino alla Florida Meridionale a ovest, poi, passando fra le Bahamas, va oltre Puerto Rico, a circa 40° di longitudine, e risale di nuovo alle Bermude.

Così Charles Berlitz inizia a parlare di quello che, a tutti gli effetti, è forse l’enigma più famoso di tutti i tempi.
Era il 1974 e il libro di Berlitz, Bermuda: il Triangolo Maledetto, divenuto poi un best seller, ha il merito (o la colpa) di aver trasformato una serie di eventi drammatici e a loro modo intriganti, in una maledizione che è una sorta di minaccia nascosta per l’umanità.

Berlitz continua in questo modo:
Nell’elenco mondiale dei misteri insoluti, quest’area occupa un posto conturbante e quasi incredibile. Generalmente menzionato come “il Triangolo delle Bermude”, è il luogo dove più di 100 aeroplani e navi sono letteralmente svaniti nel nulla, in maggioranza dopo il 1945, e dove più di 1000 vite sono andate perdute negli ultimi ventisei anni, senza che un solo corpo o almeno un pezzo di rottame degli apparecchi o delle navi scomparse fosse ritrovato. Le sparizioni continuano con una frequenza in evidente aumento, nonostante il fatto che oggi le rotte marine e aeree siano più battute, le ricerche più minuziose e le registrazioni più accurate.

Quanto riportato, nel corso del tempo ha incontrato le più svariate reazioni, dall’unanime consenso del pubblico, affacinato e intimorito da tali incredibili notizie, al muro della critica, che ha visto in questo libro una vera e propria speculazione letteraria.

Quanto, di ciò che scrive Berlitz, è reale?
Cosa, in verità, è frutto della sua immaginazione?
Quali prove sono tangibili e quali manipolate a suo piacimento?

Secondo il CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale), non c’è nessun mistero e il cosiddetto “triangolo” non avrebbe su di sé nessuna maledizione, né è tanto meno un ricettacolo di morte.

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