“Queste mie catene”: quarto posto al Nero Premio
Il NeroPremio è un concorso gratuito di narrativa per racconti di genere Horror, Thriller e Fantastico (con tutte le relative sfumature: giallo, mistero, hard boiled, dark fantasy, dark sci-fi, ecc…), che si svolge quattro volte l’anno, nelle sue diverse edizioni: invernale, primaverile, estiva e autunnale.
Alla 37° edizione (estate 2009), vi ho preso parte con un racconto horror di ambientazione italiana. L’idea mi è venuta dopo aver letto di un castello infestato – o presunto tale – che sorge a Vicalvi, nel frosinate. La leggenda narra che tra le se mura diroccate si aggiri lo spettro di una nobildonna nota come “La signora incantenata”. Qualche anno fa, dopo esser venuto a conoscenza di questa storia, feci un sopralluogo – ovviamente di giorno – ma della bella adescatrice di uomini, neanche l’ombra. Probabilmente, avrei dovuto farle visita di notte. Per saperne di più vi rimando al mio articolo su Art-Litteram.
Recentemente, rirpendendo in mano l’articolo, mi è venuta voglia di romanzare la vicenda, immaginando un gruppo di giovani scapestrati che si avventurano nel maniero nottetempo, andando incontro a un terribile destino. Ma non tutto è così semplice come sembra.
La storia non è comunque soltanto questo. La storia di fantasmi è un tassello di un mosaico più ampio, in cui incastrare la difficile esistenza della giovane protagonista, segnata da un’adolescenza tormentata. Violenze e abusi hanno fatto di lei ciò che è, una ragazza fredda, cinica, che troverà nell’orrore più profondo, la forza per liberarsi dalle sue pesanti catene.
Queste mie catene ha ottenuto il riscontro della giuria, piazzandosi al quarto posto nella classifica finale.
Di seguito, un breve passaggio:
“Gira ancora su se stessa, ma c’è solo tenebra, profonda e vivida, un manto freddo che la avvolge, impedendole di vedere cosa si nasconde lì, accanto a lei. Qualcosa la afferra, tirandola a sé, e di colpo si ritrova a terra. Urla, dibattendosi, mentre le mani la toccano, le strappano i vestiti e la inchiodano al suolo. Continua a gridare, a gridare forte, tanto che la caverna le rimanda l’eco della sua voce, orrendamente distorta, più simile al raglio di un asino che alla voce di una rapper. Quel pensiero assurdo per un attimo le piega le labbra in un sorriso, sorriso che nessuno può vedere e che scompare dopo una frazione di secondo. Poi sono di nuovo le mani, che le strizzano i seni e le aprono le cosce. Nessuno parla, nessuno emette un fiato, ma lei sa chi sta facendo questo… lo sa. Come ha sempre saputo di suo padre, sa che cosa le stanno facendo e cosa le faranno.”