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Vallanzasca, gli angeli del male

Capita che il Terzo Occhio a volte assapori il sottile brivido della sala cinematografica. Capita che le luci si spengano, il film abbia inizio, il tutto mentre il Terzo Occhio osserva, assimila, e giudica.
Giudicare però, non è sempre facile, anzi forse non lo è mai. E Vallanzasca non fa eccezione.
Il film narra la vita del “bel René”, come veniva soprannominato negli anni 70 Renato Vallanzasca, delinquente incallito che imperversò nel milanese con furti, sequestri, rapine e omicidi, facendo saltare i nervi a tutti, dalle autorità alle organizzazioni criminali avverse.
Michele Placido ci mostra un personaggio in caduta libera verso il baratro dell’autodistruzione, che sembra non riuscire a tenere i fili della propria esistenza, lasciandosi sopraffare dagli eventi e dall’amicizia per le persone sbagliate che, per una serie di circostanze, finiscono per deluderlo se non addirittura, nel caso più estremo, tradirlo.
L’apertura non è delle migliori, una serie di sequenze che riassumono la vita del protagonista da ragazzino – narrata da lui stesso – fino al tragico suicidio del fratello, indicato come punto di svolta verso una vita fatta di illegalità ed eccessi, dai più piccoli furti alle rapine, che decretano la nomina di Vallanzasca a boss della Banda della Comasina. Peccato non essersi soffermati di più sul Renato bambino, per comprenderne meglio le difficoltà dell’infanzia. Con cinque minuti girati in più, il Terzo Occhio avrebbe potuto immergersi più a fondo in quella personalità complessa che poi, nel corso del film, emerge in modo da dare un taglio istrionico e carismatico al bel René.
Le poco più di due ore trascorrono veloci nella sala buia, la ricostruzione dell’epoca è tale che, una volta tornati alla realtà, viene da chiedersi dove siano finite le Fiat 128, le lunghe basette e i capelli cotonati, le camicie sgargianti e i calzoni a campana.

It, di Stephen King

Derry, cittadina del Maine circondata dai boschi, culla di quello che è forse il peggiore degli incubi creati da Stephen King. Pennywise, orribile pagliaccio annidato nelle viscere di Derry come un topo nelle fogne, incarna un Male antico più della Terra stessa, un Male che acquista vigore grazie al nutrimento che ottiene dalle paure dei bambini – nonché dai bambini stessi – gli unici, in effetti, in grado di vederlo.
It è un tomo di oltre mille pagine, che tuttavia scivolano via come acqua. Il merito va tanto all’abilità narrativa di King – mai come in questo caso l’appellativo di Re è calzante – quanto alla struttura del romanzo, che intreccia le vicende del presente ai ricordi del passato. Infatti iniziamo a conoscere gli indimenticabili personaggi del libro solo in apparenza quando sono adulti, in realtà finiamo per entrare nei loro occhi, nei loro pensieri e nelle loro sensazioni soprattutto nelle loro vicende giovanili. Perché è nel passato la chiave di tutto, nei ricordi di quei giorni terribili, quando il “club dei Perdenti “ capitanato da Bill Denbrough ha sonfitto il mostro la prima volta.

Kyashan, la rinascita

locandina

La filmografia giapponese si arricchisce nel 2004 di un nuovo live action: si tratta di Kyashan – La Rinascita (Casshern), tratto dalla celebre serie anime in voga negli anni Ottanta.

La storia ci trasporta in un futuro non molto lontano, su una Terra devastata da guerre, epidemie e inquinamento. L’estinzione della razza umana sembra inevitabile.

Unica speranza di salvezza è la ricerca del dottor Azuma, il quale ha scoperto l’esistenza, all’interno dell’organismo umano, di una particolare “neocellula” in grado di rigenerare ogni tipo di tessuto danneggiato. In poche parole: la chiave dell’immortalità.

Azuma dedica tutto se stesso al progetto: sua moglie Midori è malata gravemente, e solo una terapia con le neocellule potrebbe salvarle la vita.

Il momento di svolta nella sperimentazione si verifica quando, dal cielo, piove un oggetto di fattura aliena, una sorta di immensa saetta metallica, che colpisce il laboratorio di Azuma finendo per interagire con le vasche di rigenerazione dove sono tenute immerse parti di corpi umani. Dentro le macabre piscine, arti e organi cominciano a crescere e a saldarsi, dando infine vita a nuove “persone”, creature mutanti a cui l’esercito dà immediatamente una caccia spietata.

Pochi attimi prima dell’incidente, Azuma aveva ricevuto la notizia della morte in guerra del figlio Tetsuya; ora, disperato, decide di immergere la salma del giovane (appena rientrata dal fronte) in una delle vasche; lì, incredibilmente, anch’essa torna alla vita.

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Quindici giorni di novembre, di José Luis Correa

– E tu? Tu l’hai amata?
– Tu ami questa spiaggia?
– Ma certo, fesso!
– Allora che caspita domandi?
– Ma io l’amo da più di cinquant’anni.
– Dammi tempo, vecchio. Dammi un po’ di tempo.

Ricardo Blanco è un investigatore privato, un improbabile incrocio tra Philip Marlowe e Sam Spade, che si muove, solitario e muto, tra le case e le spiagge di Las Palmas, sull’isola di Gran Canaria, luogo di libertà e di perdizione, dove i cosiddetti “figli di papà” credono di essere i padroni del mondo. E qualcuno lo crede davvero.
Quando la bellissima Maria Arancha Manrique si presenta nello studio di Ricardo chiedendogli di indagare sul presunto suicidio del fidanzato, il pressoché perfetto Antonio Camember, l’esperto detective capisce fin da subito di trovarsi di fronte a una montatura. Qualcuno ha ucciso il disgraziato, inscenando il suicidio, riuscendo a mettere nel sacco l’inesperta polizia isolana, ma non certo Ricardo. Attratto più dal fascino della donna, che dal caso in sé, decide di accettare.

Recensione: Il ritorno del diavolo

Il ritorno del Diavolo” di Giovanni Merenda (Scrittura & Scritture)
Il commissario Martino viene chiamato a indagare sulla morte di

Aldina Giunita, ricercatrice universitaria e sua vecchia fiamma. Le indagini sembrano ruotare attorno al manoscritto di un esimio professore, volto a smascherare finti occultisti e sacerdoti di presunte sette sataniche.

Dapprima Martino pensa di essere alle prese con la vendetta di uno dei personaggi che compaiono nel libro, ma non tutto è così semplice come sembra e lo scoprirà scavando nel passato di Aldina.
Questo libro ha dalla sua un marcato umorismo, dialoghi scoppiettanti, che riescono a coinvolgere il lettore dalla prima all’ultima riga. Tale punto di forza si rivela, tuttavia, essere anche la maggiore debolezza dell’opera, in quanto compromette irrimediabilmente il taglio giallo che invece dovrebbe essere dominante, trattandosi di un’indagine su un omicidio.

Shadow, di Federico Zampaglione

Dopo l’esordio in sordina con il noir psicologico Nero bifamiliare, il cantautore Federico Zampaglione torna alla regia, stavolta alle prese con una storia a metà fra il thriller e l’horror, confermando di essere un artista talentuoso.
Il film ci presenta David ( Jake Muxworthy), un ex-soldato rientrato da poco dalla guerra in Iraq, alle prese con un viaggio in mountain-bike attraverso l’Europa. Durante il percorso s’imbatte in Angeline (quella Karina Testa già protagonista del delirante Frontiers), con cui condivide la passione per la natura e per la bike. I due trovano sul loro percorso due spietati cacciatori, che li spingono verso la cima di una montagna animati dalle più sordide intenzioni. Tuttavia, quello che troveranno lassù, nascosto in un casolare isolato dal mondo, si rivelerà un incubo per tutti.

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I ragni zingari, di Nicola Lombardi

Il ragazzo abbassò il capo e guardò con intensità le fiamme delle candele. Grida e pianti, ovunque, ancora. Non c’era proprio rimedio. La vita si era capovolta, e ogni tentativo di raddrizzarla pareva vano. Era come stare dentro uno specchio, dall’altra parte. Ma qual era, poi, l’altra parte? Si chiese se fosse davvero uscito, da quel mondo rovesciato in cui aveva sognato di vagare, o se ci stesse ancora affogando dentro. E i ragni zingari? Erano lì con loro, dentro e fuori, e altri ne stavano arrivando.

Michele è tornato dalla guerra. Badoglio ha appena annunciato agli italiani che il nemico non è più tale. I soldati di stanza sul fronte albanese, improvvisamente smarriti, fuggono con ogni mezzo possibile, pagando chiunque abbia una barca per raggiungere l’Italia. Michele è uno di questi, reca nell’anima una disperazione che solo la guerra può instillare – come una lama affilata nella carne – ma continua a ricacciare indietro i fantasmi di quei giorni infausti, rinfrancato dal sogno di riabbracciare la sua famiglia. La mamma, il nonno, il fratellino Marco, sua sorella Adele e lo zio Berto.

Ma al suo ritorno il castello di speranze che si è costruito crolla sotto i colpi di un tumultuoso dolore: Marco è scomparso da tre giorni e nessuno sembra sapere cosa gli sia accaduto, seppur fin da subito appaia chiaro che non tutti dicono la verità. Michele inizia un’indagine personale che lo porta a rivangare un passato che tutti vorrebbero tener sepolto.

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Cash Game

Ci sono film apparentemente invisibili, che passano inosservati nei cinema, restano in sala per non più di due settimane e poi scompaiono, salvo poi riapparire in dvd o sulle emittenti private. La fortuna di questo film è senza dubbio l’interpretazione di Sean Bean, che dimostra ancora una volta di avere un’ammirevole versatilità. Il suo personaggio, impostato e precisino, affetto da una psicopatia latente che lo spinge a oltrepassare i limiti del buon senso, finisce per risultare al tempo stesso insopportabile e affascinante, comunque memorabile e di certo migliore della coppia che si trova invischiata nella sua tela, fin troppo piatta e prevedibile nei comportamenti.

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Opera Sei, di David Riva

Quattro squilli, poi la voce di Magdalina, lontana.
«L’hai trovata?»
Un attimo, per chiudere gli occhi e rispondere:
«Sì».

Una ricerca spasmodica tra Europa e Sud America, una ragazza – Ester – sola, in pericolo, nelle mani di un’organizzazione criminale – Metafisica – che non si fa scrupoli pur di vendere le opere d’arte del geniale chirurgo plastico Hao Myung.
La sua vena artistica corre sul filo di un rasoio chiamato follia, o limite. Limite della moralità e della dignità umana. Ma Myung non lo fa per denaro, lui si considera un artista e così la pensano pure tutte le sue opere, le persone che hanno deciso di immolarsi al fine ultimo di mostrare al mondo ciò che sono veramente, dentro. Per questo Ester, come altri cinque individui prima di lei, ha accettato la proposta del chirurgo cinese. La libertà di essere ciò che sente di essere, vale il sacrifico che le viene richiesto.
Peccato che venga nascosto a tutti i prescelti il vero motivo della trasformazione. Nessuno di loro, una volta realizzato l’ardito desiderio, tornerà mai più a casa: il loro destino è nelle mani del miglior offerente.