Hunger Games, di Suzanne Collins
Quando ho cominciato a leggere questo libro, avevo in mente diverse cose: reality show come “Il Grande Fratello” e “L’Isola dei Famosi”, ma anche film del calibro di Live! e My little eye; nonché il libro La lunga marcia di Stephen King.
Devo dire che Hunger Games è una buona commistione tra tutti questi elementi. Troviamo la crudezza e il cinismo del libro di King, la denuncia tra le righe già vista in Live! e l’orrore e l’inquietudine suscitati da My little eye. Ma dei reality, quelli veri che tanto vanno di moda oggi in Italia e nel mondo, c’è soltanto una patina opaca. Fin da subito appare chiaro l’intento dell’autrice, ovvero fare di quest’opera un simbolo di denuncia sociale, un avvertimento che sembra gridarci forte nelle orecchie: “Ehi! Se continuiamo così, sarà questo il nostro futuro!”
La storia è ambientata a Panem, ossia ciò che resta degli Stati Uniti dopo un passato di guerre e distruzione, in un ipotetico e quanto mai cinico futuro. La società è dominata da un’autorità pressoché invisibile, che ha sede a Capitol City, metropoli baluginante e chiassosa che ricorda tanto una Londra disinibita e futuristica. Il resto del territorio è suddiviso in dodici Distretti, ognuno dei quali dedito a una specifica attività (miniere, agricoltura, ecc.).
Annualmente, ogni Distretto è obbligato a offrire due Tributi – vale a dire due giovani al di sotto della maggiore età – in quella che viene chiamata la Mietitura. I prescelti – estratti a sorte ovviamente – vengono mandati a disputarsi gli “Hunger Games”, una sfida all’ultimo superstite seguita in presa diretta sugli schermi di tutti i Distretti. Gli Hunger Games servono a ricordare ai Distretti che Capitol City non ha dimenticato l’epoca in cui essi si ribellarono; la rivolta fu soppressa nel sangue e da allora ogni Distretto è obbligato a pagare i suoi Tributi in questo modo. Eterna schiavitù è ciò che spetta a ogni abitante al di fuori di Capitol City.
La sottile linea scura, di Joe R. Lansdale
Lansdale ci ha abituati, nel tempo, al suo stile impressionista. Attraverso le parole è in grado di rievocare suoni, odori, immagini di un America in stato confusionale, nell’epoca dei conflitti razziali, come nel bellissimo “In fondo alla palude”, tanto per citare un altro dei suoi romanzi più riusciti. La Sottile Linea Scura si colloca in questo filone in maniera violenta e, quando giriamo l’ultima pagina, lo facciamo con la consapevolezza di avere imparato qualcosa di quel tempo, di quei luoghi, della gente che vi viveva. A raccontare questa storia è un anziano Stanley Mitchell, che ripercorre le vicende della sua giovinezza, tornando all’estate del 1958, nella cittadina di Dewmont in Texas, estate in cui il ragazzino Stanley si ritrovò di botto sparato fuori dall’adolescenza verso le realtà, a volte crude, a volte drammatiche, dell’età adulta.
Alice secondo Dimitri
Alice nel Paese della Vaporità è il secondo libro di un giovane autore italiano che vive e lavora a Londra: Francesco Dimitri.
L’opera può essere considerata una riscrittura della Alice più classica, quella che approdò nel Paese delle Meraviglie grazie alla penna di Lewis Carroll.
La Alice secondo Dimitri è ben diversa dalla bambina dai capelli dorati smarrita in un mondo da fiaba: l’universo in cui l’autore ci proietta è un mondo caotico, di chiaro impianto steampunk, in cui la tecnologia è una scienza da poco riscoperta dopo esser rimasta per lungo tempo sepolta, ed è una tecnologia per lo più basata sul vapore e sulla forza idraulica.
La Londra in cui inizia la vicenda è una metropoli industrializzata e per certi versi illuminista, ed è tenuta al riparo dalla Vaporità della Steamland da un impianto di enormi ventole installate lungo un altissimo muro di cinta. Al di là c’è un territorio insano, in cui nessuno osa avventurarsi, o quasi: la Steramland, appunto.
Alice, che proprio da quella terra proviene, decide che è giunto il momento di tornarci. Il suo viaggio, che lei maschera dietro una ricerca antropologica, è in realtà pura ribellione a una Londra che le va sempre più stretta.
Man mano che si addentra nella Steamland – in soldoni, una landa arida trasformata in discarica tecnologica dai londinesi – le sue percezioni cominciano a cambiare; si rende conto che ciò che nella sua realtà ha una forma definita, nella Vaporità assume connotati differenti. I cinque sensi si mescolano in uno sciabordio di odori, suoni, sapori, colori e tocchi interscambiabili tra loro.
Per lei è come rinascere a una nuova vita.
Recensione a Shutter Island
Corre l’anno 1954. L’agente FBI Edward “Teddy” Daniels (Leonardo di Caprio) si reca presso il manicomio criminale di Ashecliff , che sorge su un isola lontano dagli sguardi dell’autorità americana per ritrovare una donna -pluriomicida- scomparsa in modo misterioso. Teddy, affiancato dal nuovo collega Chuck (Marc Ruffalo) si troverà a dover fare i conti con l’ostruzionismo dei medici, con la ritrosia dei pazienti, con la durezza delle guardie carcerarie e con un passato di sangue che continua a perseguitarlo. Durante le indagini il Professor Cawley (Ben Kingsley) collabora pazientemente con Teddy, pur non ottenendo mai la sua completa fiducia. C’è qualcosa di pericoloso sull’isola e quando le ricerche portano i due agenti sulle tracce di un possibile complotto antigovernativo ordito da ex nazisti, gli eventi prendono una piega inaspettata.
Nero Cafè, blog del giallo e del mistero
NeroCafè nasce per offrire un contributo di informazione e divulgazione della letteratura gialla, noir e thriller. Notizie, recensioni, interviste, premi e concorsi letterari, eventi e rassegne. Tutto nel segno del giallo e del nero.
La redazione, attualmente in fase di start up, è composta da Alessandro Manzetti, curatore delle notizie e della rubrica “Post Mortem” dedicata agli autori di genere del passato, e Laura Platamone curatrice dello spazio per le interviste “Black Mind” e inviata agli eventi del settore. Da pochi giorni anche il sottoscritto è entrato a far parte dello staff, in qualità di autore del “Terzo Occhio”, rubrica dedicata alle recensioni di libri e film.
A breve saranno presentate molte nuove iniziative e progetti.
Riflessione sul tema dell’ignoto
Le caporali sono come la birra.
Strano a dirsi, ma è così. Per me, almeno.
Ho sempre utilizzato il trattino nei dialoghi, era l’unico segno che mi piacesse. Non le virgolette, non le caporali. Il trattino. Sissignore, e guai a chi mi consigliava di provare gli altri.
Badate, non che non abbia tentato. Le virgolette non mi piacevano proprio, nemmeno per i pensieri. Per quelli uso il corsivo. È di grand’effetto, datemi retta.
Le caporali… non so. Avevo questa difficoltà sulla tastiera, non sapevo come farle. Poi mi dissero di usare una combinazione sequenziale di quattro caratteri. Cazzo! Quattro caratteri per aprirle, quattro per chiuderle! Otto tasti per due segnetti? I trattini erano più comodi.
E andai avanti così per un bel pezzo.
Poi, un giorno, volli provare di nuovo. Ero diventato veloce sulla tastiera, otto tasti non mi spaventavano più. Scoprii che non era tanto male, e scrissi un racconto con le caporali.
Mi si spalancò un mondo.
Oggi le preferisco, l’effetto visivo è migliore, i dialoghi sembrano meglio integrati al testo.
Capite, quindi, che è come con la birra.
A me non piaceva, mai bevuta fino a trent’anni. Non mi piaceva, il sapore del malto o non so che altro mi dava la nausea. Poi faccio questo viaggio a Londra, mi lascio convincere a bere una Guinness. Non male, penso.
Al mio ritorno a Roma assaggio la Adelscott. Buona. La Du Demon. Buona.
Poi mi dicono: ehi, ma ti piacciono le birre forti?
Così attacco con le chiare. Buone, tutte.
Oggi la birra d’estate è una manna dal cielo per il mio palato.
Ecco, capite ora che le caporali sono come la birra.
Questo mi fa riflettere: mi chiedo quante cose al mondo ci siano che non conosco e che potrebbero piacermi. Come scrittore dovrei viaggiare, prendere appunti, scattare foto, girare video. Invece sto qui piantato davanti allo schermo a inventare. E se c’è qualcosa che non va, via di adsl! Un salto nel web, e Google mi trova qualunque cosa cerchi.
Ma non dovrebbe essere così. A volte, penso, occorre muovere il culo.
Non so ancora quando, ma lo farò accadere. Magari tra qualche mese o un anno, andrò alla ricerca di un’altra cosa che non conosco. Di altre caporali. Di un’altra birra fresca.
Nella Tela! 2010
Anche quest’anno parte il concorso letterario Nella Tela! organizzato da La Tela Nera in collaborazione con Edizioni XII.
Nella Tela! 2010 è un premio dedicato a racconti di genere thriller, horror e fantastico. Come nella passata edizione, anche questa volta le sezioni sono tre: una per racconti lunghi, fino a 50.000 caratteri (sezione “Novelle”); una per racconti di media lunghezza, fino a 20.000 caratteri (sezione “Racconti”), e un’ultima per racconti brevissimi, gli immancabili 666 Passi nel Delirio, di lunghezza non superiore alle 666 parole.
Ancora una volta sono previsti premi in denaro per i vincitori delle tre sezioni, ed è contemplata – ovviamente – la possibilità di partecipare anche a tutte e quante. Ma non è tutto: quest’anno, infatti, la partecipazione sarà gratuita per i vincitori delle edizioni di luglio di Usam – Una Storia Al Mese e della Macelleria n.6.
Le iscrizioni scadono il 15 ottobre 2010.
“Nessun uomo è mio fratello”, di Clelia Farris (recensione)
Vincitore del Premio Odissea 2009, questo romanzo si presenta come una finestra su una realtà “alternativa” così vivida da ricreare l’illusione che possa, in un futuro non poi così lontano, concretizzarsi. La domanda che l’autrice sembra voler porre al lettore è: cosa accadrebbe, se il nostro destino fosse segnato fin dalla nascita?
Nel mondo di Enki, giovane contadino indonesiano vessato dalle angherie di un padre cinico, tormentato dalla figura di una madre morta che ricorda a mala pena, non c’è spazio per il libero arbitrio, non se si nasce con il segno della V sulla pelle. V, uguale Vittima. C, Carnefice. Ogni persona nasce con un segno distintivo che ne schiera l’esistenza in una o nell’altra parte. Nascere con la V significa vivere nella paura di essere, un giorno, ucciso dal proprio Carnefice. In questa società l’omicidio è ancora un reato, ma se un Carnefice uccide la sua Vittima, allora l’infame delitto è riconosciuto come legale e nessuna condanna viene emessa.
Per questo le Vittime cercano di nascondere il proprio segno.