Rot & Ruin, di Jonathan Maberry
Romanzo finalista al Bram Stoker Award e vincitore di altri prestigiosi premi come il Dead Letter Award, il Cybilis Award e il Melinda Award, più che un libro sugli zombie, Rot & Ruin può essere considerato un vero e proprio spaccato sociale, che strizza l’occhio a quel mondo post-apocalittico tipico di film come Mad Max e Resident Evil.
Ma le differenze, a livello di soggetto, sono notevoli.
Tanto per cominciare, nella storia di Maberry non ci sono eroi votati all’azione o al “coattismo” spudorato. C’è un ragazzino, Benny Imura, che all’inizio è quanto di più fastidioso ci si possa ritrovare davanti, un piccolo arrogante capace solo di giudicare gli altri, ma incapace di farlo con obiettività. Tom, fratello di Benny e rinomato Cacciatore di zombie, ai suoi occhi non è altro che un vigliacco, che ha lasciato morire la madre senza muovere un dito per salvarla.
I miti di Benny sono altri, quel Charlie occhio-di-vetro ad esempio, o il suo socio Motor city Hammer, così spavaldi e divertenti, le loro gesta sono raccontate perfino sulle Zombie Card. Peccato che, Benny lo scoprirà a sue spese, si tratti di persone poco raccomandabili.
L’avventura di questo ragazzino è una sorta di viaggio iniziatico che segna il passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Questo tratto del romanzo ricorda molto opere statuarie come It di Stephen King, anche se le “dimensioni” qui sono molto più ridotte.
Da sempre chiusa nella piccola cittadina di Mountainside, la gente non è più abituata a pensare con la propria testa. Nel loro piccolo, i cittadini si sentono sicuri. Non sanno quale orrore si nasconde là fuori, nel territorio di Rot & Ruin. E non si tratta solo dei morti che vagano senza sosta, affamati.
Si tratta del rispetto per la vita, della dignità umana, della compassione.
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