Archivio | ottobre 2012

In preparazione Altrisogni 6

È di ieri la notizia che non manca molto all’uscita del numero 6 della rivista Altrisogni.

Su questo numero troverete  un mio racconto di fantascienza: Pelle di luna. Storia di un amore impossibile in un’epoca in cui la Terra è devastata e la realtà virtuale ha acquistato così tanta importanza da sostituirsi quasi del tutto alla vita reale. Non posso svelare di più, ma sarò curioso di avere le vostre impressioni.

Nel frattempo, vi invito a scaricarvi il numero 5 di Altrisogni dove, tra i tanti contenuti che esplorano i mondi del fantastico, dell’horror e del weird, ne trovate molti davvero interessanti, altri da non perdere, come ad esempio il racconto di Claudio Vergnani.  E, aggiungo, non perdetevi la recensione a I Racconti del Sangue e dell’Acqua. Un altro tassello da aggiungere alla già ottima rassegna stampa.

Buona lettura!

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Voglio pubblicare e voglio pagare, cazzo!

ImmagineChiariamo. Non è mio, il pensiero nel titolo, ma era un po’ che volevo parlare di quest’argomento. Oggi ho deciso che avevo cinque minuti per farlo.

Cominciamo a parlare di questo termine: editoria. E “grassettiamolo”, che è meglio.

Ancora una volta, in uno degli apocalittici post di Laura sull’editoria – appunto – qualcuno scende a difendere gli EAP, Editori A Pagamento. Che poi editori non sono, visto che il mestiere dell’editore è pubblicare un libro e promuoverne la vendita. Gli EAP dovrebbero essere chiamati con il loro vero nome: stampatori. Oppure potremmo inventarci un altro acronimo, tipo SDI, Stampatori di Illusioni.

Ecco, sei un emergente e vuoi pubblicare, ma:

a) non sei bravo abbastanza;

b) non sei sveglio abbastanza;

c) non sei umile abbastanza;

d) sei pigro oltre ogni immaginazione;

e) non hai problemi di soldi oppure sì ma chissenefrega che il tuo nome su una copertina vale mille euro (o duemila, o tremila)

f) non capisci un cazzo di marketing;

g) ti hanno detto che sei esordiente e gli esordienti pubblicano solo se paghi l’editore e tu ci hai creduto e non hai svolto indagini, non sei andato sul web e non hai trovato i millemila posti dove si dice che “non è vero!” e “gli EAP o SDI sono truffatori legalizzati” e “ci sono le liste paradiso-inferno-purgatorio e similari”, dove sono elencati per nome e cognome o denominazione sociale gli EAP e quelli buoni, che non ti chiedono soldi ma cercano solo vero talento o, magari, buone storie su cui darci dentro con un buon editing. Ecco alcuni link per voi: Lipperatura, Scrittevolmente, Studio83, Writer’s Dream, Scrittori in causa, Bookblister.

E si potrebbe continuare con l’alfabeto, chiaro…

Scrivo qui quello che ho scritto più volte da altre parti.

Se io sono un EAP e tu mi paghi e, ripeto, MI PAGHI. Facciamo mille euro per cento copie. Un bel forfait. Quelle copie mi costano al massimo 300-400 euro tenendomi largo (parliamo di 250-300 pagine). Prezzo tra i 2 e i 4 euro cadauna. Ho già un guadagno netto di 600 se non conto male. L’autore CREDE che io lo promuoverò, lo pensa davvero o forse lo spera. Forse conta sul fatto che è nell’interesse dell’editore promuovere l’opera per venderla!

Ebbene ha ragione, è così… se io fossi un editore. Cioè se quell’EAP o SDI cui si è rivolto guadagnasse sulle vendite e non – come, Cristo, accade – su quello che stampa. E io che sono stato così furbo da sfruttare i sogni dell’esordiente, il suo ego immane, la sua smisurata sete di vedere il proprio nome su una stramaledetta copertina, il suo ingenuo narcisismo… io, Stampatore Di Illusioni, per quale oscuro motivo dovrei impegnarmi a contattare distributori, promuovere il libro nelle fiere, fare presentazioni (spendendo una quantità di tempo e denaro inutili) su quel libro lì che mi ha già dato di che campare, quando posso sfruttare un buon centinaio di altri polli nello stesso identico e – privo di costi e di rischi – modo?

Vi sembrerò infervorato. Direte: eccheccazzo, tu devi rispettare questi poveri autori che sono stati gabbati. Rispetta i loro sogni! Forse qualcuno è anche bravo…

Sì, sì, sì. Certo.

Ma io parlo così perché ci sono passato di persona, nel 2005.

I lupi della bruma, che ora vi potete scaricare qui free dal mio blog, un tempo mi sono costati 750 euro in copie (che grazie a Dio mi sono rivenduto). E poi il silenzio. Ma, nel 2005, non c’era l’informazione che c’è adesso e comunque non ho mai finito di pentirmene. Oggi, pagare per pubblicare, significa ignorare tutte le informazioni liberamente disponibili in rete.

Certo, direte voi, ma se io sono un pessimo scrittore ma sogno di pubblicare, che cosa devo fare?

Che vi devo dire, andate su Ilmiolibro – sebbene ne abbia una certa repulsione – o alla tipografia sotto casa e stampatevi un tot. di copie per amici e parenti. Spendete i soldi, ma sapete di spenderli per quella finalità lì. Ma non pensate certo di intasare il mondo editoriale con i vostri pessimi libri. Non editati – perché gli EAP non perdono tempo in editing e voi siete troppo montati per pensare che il vostro adamantino testo abbia anche solo lontanamente bisogno di una revisione – e magari pure impaginati male, perché non viene usato un programma di impaginazione ma il buon caro vecchio Word. Vi sembra corretto verso chi, ingenuamente, si potrebbe trovare a comprare – in via del tutto eccezionale – il vostro libro?

Noi di Nero Press, per i libri che pubblichiamo e pubblicheremo, non chiediamo e non chiederemo mai un centesimo all’autore. Perché è la qualità che ricerchiamo e non la quantità.

Potreste obiettare che “ehi, io sono un fenomeno letterario! Sono gli altri che non mi capiscono” al che dovrò togliermi tanto di cappello ed ammettere che, come ha detto  una volta il mio editore (quello buono, Bel-Ami, con cui ho pubblicato I Racconti del Sangue e dell’Acqua) durante una conversazione sull’argomento, “non si può salvare chi non vuole essere salvato”.

Il Cigno Nero, di Darren Aronofsky

“L’unico vero ostacolo al tuo successo sei tu: liberati da te stessa. Perditi, Nina
Con questa frase Thomas, direttore della compagnia di ballo, spinge Nina sull’orlo del baratro. Lei, già così fragile e problematica, ossessionata dalla perfezione, da una madre morbosa e da un passato di autolesionismo, iniza una caduta libera nell’abisso profondo e contorto della propria anima. È di questo che si tratta, in fondo, di un viaggio nell’anima.
Darren Aronofsky, dopo il successo di The Wrestler e un precedente artistico come il visionario The fouintain (L’albero della vita), mette in piedi un film memorabile, che non può non impressionare, da qualsiasi ottica lo si guardi.
Natalie Portman, vincitrice dell’Oscar come miglior attrice protagonista, ci trascina per mezzo dell’espressività dei suoi occhi, del suo volto scavato, nella mente di una ragazza disturbata, travolta da una fragilità e un’insicurezza che è costretta ad affrontare nel peggiore dei modi, attraverso l’interpretazione del Cigno Nero, nel quale finisce per immedesimarsi fino alle estreme conseguenze.

Il tema del viaggio interiore è affrontato con cruda maestria. La scoperta delle emozioni, della trasgressione e del sesso si esplica in una riscoperta del sé. I personaggi che Nina incontra sulla sua strada sono figure ambigue, che sembrano attirarla e respingerla insieme, minando ancor più la sua già precaria stabilità.

Leggi tutta la Recensione su Nero Cafè

Ottobre 1943

Maria si stringe il libro al petto.

Fuori infuria la guerra, tuoni scuotono il pavimento, tremano i vetri, oscillano le ombre al dondolio della lampadina che scende, glabra, dal soffitto.

È pallida Maria, lacrime le rigano le guance, come rivoli d’acqua che discendono lievi da  una roccia scoscesa. In strada rimbombano le urla, più degli spari, più delle esplosioni.

I soldati stanno entrando di casa in casa, si prendono ciò che non è loro e distruggono quel che non possono avere. Come le donne, se si oppongono. O i libri, che costringono a pensare, ad abbassare gli occhi e a provare vergogna di sé. Delle proprie azioni.

Sulla soglia della camera compare suo padre, lo sguardo come un mare liquido che non riesce a placare; a quegli occhi lei si aggrappa, con tutte le forze, per non lasciarsi andare, per riuscire a sperare anche solo un altro minuto. Perché papà è lì. E la protegge.

Sempre.

Ma le finestre vibrano, le porte vengono spalancate a calci, i passi frenetici di uomini spietati corrono su per le scale. Rumori più intensi. Più grandi. Come se non ci fosse  altro in quel momento, come se il cielo stesso urlasse furioso e picchiasse sui palazzi per entrare.

«Papà»

Lui scuote la testa e si porta un dito sulle labbra.

Silenzio, sta dicendo. Ti prego.

Ma è una preghiera rivolta altrove, non a lei. Semmai, è per lei.

Maria osserva il fuoco che arde nel caminetto. Pochi tizzoni ancora accesi, fra poco non resterà più niente, come della sua città.

Allontana il libro dal petto e lo sguardo le scivola lungo la copertina di pelle morbida, sui bordi d’ottone, sull’immagine di una principessa incisa a mano. La favola di Cenerentola, l’unico ricordo di sua madre che sia interamente suo.

Il volto scavato, le braccia ossute, le iridi incolori. Ecco che riaffiora l’ultima immagine della mamma. Non vorrebbe rammentarla così, Maria, ma non riesce a vedere il sorriso largo e perfetto di un tempo, la risata limpida, i baci e le carezze. Tutto ciò che la memoria le offre, pescando da un torbido abisso, è quel letto bianco, il corpo fragile come lo stelo di un giunco adagiato su lenzuola sgualcite. La morte disegnata su ogni poro di quella pelle stanca e martoriata.

«Passerà»  mormora appena suo padre, e Maria non sa se sta parlando di quel momento o del dolore che lei ha dentro.

Poi arrivano. Tutto l’appartamento pare come esplodere sotto i colpi che scuotono l’uscio.

«Aprite, in nome del Reich

Mesto, suo padre obbedisce. Dopo aver trafficato per qualche istante col chiavistello, apre la porta e si lascia spingere contro il muro, mentre un manipolo di giganti avvolti in neri pastrani sciama all’interno.

Uno di loro afferra Maria per un braccio, costringendola ad alzarsi.

«Che libro hai, ragazzina?»  La voce le arriva dritta al cuore come un proiettile. Le mani che violentano la sua anima, strappandole di petto il libro, fanno anche di peggio.

Maria urla e piange, mentre la figura della principessa si allontana dalle sue dita.

Una mano callosa si alza, poi ridiscende implacabile.

Sebbene la guancia sia ora simile a un calderone in fiamme, Maria non urla, non più di quanto ha fatto per la perdita di Cenerentola, di quell’unico ricordo ora spezzato.

I soldati sbraitano qualcosa, suo padre mormora qualche frase stentata sul loro diritto a vivere, a sopravvivere, ma riceve in cambio pugni e calci e l’accusa di essere simpatizzanti degli ebrei.

Maria non ne sa molto di diritti, né  di leggi, ma ha imparato a stare lontana dagli ebrei, sempre, anche se quel libro proviene dalla bottega libraia del vecchio Eliah, in fondo alla strada.

«Cenerentola sei tu.» Ricorda ancora le parole di sua madre nel confidarle quel prezioso segreto. «Rechi in te l’amore che può cambiare il mondo.»

Un fitto tramestio la trascina nuovamente nell’incubo che sta vivendo.

Maria non guarda, ma avverte i passi dell’uomo che le ha strappato il libro spostarsi verso il camino.

«Per ordine del Fuhrer!»  sbraita il fanatico, lanciando Cenerentola tra i tizzoni accesi.

Il soldato afferra un attizzatoio e rimesta nella brace fino a che le fiamme divampano, avvolgendo il libro.

Un penoso coro di risa riecheggia nella casa. I soldati se ne vanno, lasciando lei a terra, in lacrime, e suo padre in un lago di sangue, a ridosso della porta d’ingresso.

Quando delle loro voci non rimane che un’eco distorta, Maria si alza e corre fino al camino. Afferra l’attizzatoio, lo stesso che il soldato ha usato per spezzare i suoi ricordi, e spinge il libro lontano dalla brace. Cenerentola ricade sul pavimento in mezzo a una pioggia di carboni ardenti e scintille. I bordi stanno ancora bruciando, la copertina è nera e avvizzita, ma lei sa che è tutto lì.

«Papà!» piange, la voce strozzata. Suo padre si sta muovendo, sul pavimento. Striscia verso di lei.

Con un lembo della gonna Maria apre il libro, sfogliando alcune pagine. A parte i bordi, che sono smozzicati e anneriti per un paio di centimetri verso l’interno, la carta è ingiallita ma incolume.

«Papà, il libro è salvo!»

Un lamento.

«Papà?»

«Papà!»

Non si muove.

Maria si alza e corre da lui. Ma è soltanto un corpo esanime, riverso in una pozza rossastra che si allarga sul pavimento. Gli occhi, immobili, sono girati all’insù. La ragazzina crolla in ginocchio, le mani piccole a cercare quelle grandi e scure del papà. Che non ricambiano la sua stretta.

Mentre riversa nel cielo o in quell’inferno che ne ha preso il posto litri di dolore, sente che il libro è la sola cosa che le rimane.

Non può restare ancora. Non è pronta per tutto questo Male.

Apre il tomo a metà, tenendolo aperto sulle ginocchia.

È ora di tornare a casa, dice a se stessa, mentre una luce azzurrognola si effonde dal libro bruciacchiato. Magari, un giorno, qualcuno troverà questo libro e mi riporterà in vita, in un modo o nell’altro. 

«Bidibi bodibi bu…»