Al mio tre scatenate l’Inferno (arringa no sense contro facebook, il sistema e l’editoria a pagamento)
Al mio tre scatenate l’Inferno.
Questo era Massimo Decimo Meridio, alias Russell Crowe ne Il Gladiatore (o forse era “via” o “segnale”, ma che importa?). Una massima che è diventata un must anche nel vivere quotidiano.
Quante frasi celebri hanno avuto un’evoluzione simile a questa? E a cosa è dovuto? C’è forse un bisogno primordiale nell’uomo di sovrapporre la fiction alla vita reale? Forse che questa realtà ormai così abbrutita non ci appartiene più? I profili facebook pullulano di notizie vere e false su ogni sorta di figura politica, l’italiano medio è ormai una marionetta in mano ai media ancor prima che ai governanti. Fa tutto parte di un sistema che ha più buchi di un groviera svizzero, c’è tanto da dimenticare in questa realtà, mentre dall’altra parte, sullo schermo o tra le righe di un libro, si celano mondi migliori del nostro. A volte peggiori, ma comunque diversi. E per una volta “diverso” diventa sinonimo di “migliore”, alla faccia dei benpensanti che hanno sempre visto nel “diverso” un mostro o una figura da evitare.
Ognuno di noi vorrebbe la nostra realtà “diversa”. Da qui la fuga in un altrove a noi più congeniale.
Qualcuno penserà che è un male, che fuggire non è la strada per cambiare, ma forse un cambiamento è già in atto e non può essere fermato. Abbiamo varcato il bordo di un precipizio da tempo e stiamo piombando giù a velocità folle, tutti insieme.
Ora, dopo quest’analisi sociologica spicciola, riprendiamo le redini del discorso iniziale, che sto divagando.
Scateniamo l’Inferno, dicevo.
Di inferni ce ne sono tanti. C’è un Girone apposito riservato agli Editori a Pagamento. Per la legge del contrapasso, tutti i condannati in quel limbo devono leggere ed editare gratuitamente tutti i romanzi che hanno pubblicato facendo pagare un contributo all’autore. E ogni singolo segno di bozza viene scavato sulla loro pelle da un ferro rovente. Cosicché i loro corpi divengano pergamene umane colme di correzioni. In modo che rammentino fino all’eternità la differenza tra ciò che sono stati e quello che avrebbero dovuto essere.
Ma sto fuorviando di nuovo, temo.
Non è facile quando si hanno tante idee in testa che sfarfallano all’impazzata in ogni angolo del cranio. Fermarle non è per niente facile.
Il post si è allungato a dismisura e non ho detto quello che volevo dire. O forse sì?
Ma, in fondo, è quello che succede quando cominci a strizzare i tasti andando a ruota libera.
In questi giorni sono molte le voci che vedo girare su facebook, parlano di raddrizzare la Costa Concordia, parlano di viaggi in posti impossibili, espongono gnocche di ogni tipo per dar risalto a questo o quel blog, dicono tante cose e ognuna racchiude in sé neppure la metà del senso che dovrebbe avere.
Voci che si sovrappongono, anche queste, a ruota libera.
Forse dovremmo fermarci per un po’, tutti. Non parlare. Pensare, certo. Riflettere. Che in fondo non è detto che tutto ciò che ci passa per la testa debba essere riportato in uno status pubblico. E forse io dovrei essere il primo, a smettere di picchiare su questi dannati tasti…
Oppure, è solo un momento. Una fase di transizione. un’aura di negatività destinata a finire. Come dice un’altra frase celebre, non può piovere per sempre.
Riddick: meno male che c’è Starbuck!
Se non l’aveste capito, Riddick non è che mi sia piaciuto molto. Parliamoci chiaro: Vin Diesel se la cava egregiamente con quella sua non-espressione, ma mi aspettavo un film coinvolgente, incapace di annoiare. Invece, per i primi venti minuti la poltrona diventa così comoda che quasi quasi ci si potrebbe addormentare. E quella voce narrante del nostro antieroe che commenta quanto gli è accaduto per coprire le scene silenziose – che forse sarebbero state più interessanti con una musica incalzante – è una vera tortura scorticaossa.
Poi arriva l’alieno iena-cane, fighissimo, che mi ha ricordato una certa creatura del mio libro di prossima uscita per Runa Editrice (non dico il titolo però!) e che ho preso subito in simpatia.
E poi, mostri qua e mostri là, e arrivano i mercenari. Idioti e spocchiosi quelli della prima astronave, cazzuti e integerrimi i secondi. Tra questi – apriti cielo – ecco spuntare Katee Sackhoff, la Starbuck (Scorpion nella versione italiana) di Battlestar Galactica, abbigliata e acconciata nello stesso modo, un autentico tuffo nel mare della tranquillità, come incontrare una vecchia amica che ti fa sentire a casa. Anche se poi tranquilla non è, visto che spacca ripetutamente il naso al disgraziato di turno, nella fattispecie un odioso Jordi Mollà.
La nota lieta del film è che fa da legante ai primi due episodi, finora rimasti scollegati fra loro (Pitch Black e The Chronicles of Riddick). Il finale, finalmente movimentato, lo diventa anche troppo e una o due scene oltre i limiti del tollerabile purtroppo ci sono (ad esempio quando uccide il mercenario che gli sta, per giusti motivi, sulle palle).
Insomma, le creature aliene spaccano abbastanza – gli altri – ma non lui, che ha imparato a conoscerle nei giorni precedenti e sa come combatterle. Anche qui, forse fin troppo bene. Riddick rischia di passare da antieroe cazzuto a macchietta ammazzatutto.
Sicuramente un film che va visto, ma non è certo ai livelli di Pitch Black, a mio giudizio, fino a ora l’episodio migliore della trilogia.
I Racconti del Sangue e dell’Acqua si aggiudica il premio Io Scrivo
A volte le notizie arrivano così, all’improvviso. Rinverdendo una giornata uggiosa.
Ieri, primo giorno di ritorno al lavoro, Addio alle ferie. Macchina dal meccanico. Trasloco nella casa nuova ancora in corso. Giornata frenetica.
Nel Caos, ecco una luce piacevole. I Racconti del Sangue e dell’Acqua vince la quarta edizione del concorso letterario Io Scrivo indetto dal Blog Il Giallista.
Qui di seguito la classifica delle prime tre posizioni: