Ritorno alla Mary Celeste recensito su Il venditore di pensieri usati
Le parole con cui Riccardo Sartori descrive il percorso che lo ha portato a leggere Ritorno alla Mary Celeste mi ha strappato fin da subito un sorriso. Ve le riporto così come sono:
Vi dirò: quando l’ho preso ero scettico, sia perché gli autori italiani che mi piacciono posso contarli sulle dita di una mano (credo), sia perché il nome di Picciuti, per ora, è sconosciuto ai più.
Però, visto che lui ne ha fatto così tanta pubblicità, visto che su Anobii in 6 lo avevano già letto e valutato 4 stelline, visto che la versione per Kindle costa meno di 2 euro e visto che la copertina m’intrippava abbastanza, allora mi sono detto che sì, dai, potevo anche provarci. Anche perché l’autore lo avevo a disposizione su Faccialibro per chiedergli lumi ogni volta che avevo dei dubbi (leggi: gli ho rotto grandemente le balle).
Il risultato di questo suo “rischio”? Leggetelo da lui stesso:
Cari lettori, non me ne sono pentito! Questo racconto si fa leggere agevolmente, va giù come fosse una birra fresca a ferragosto, mi ha tenuto incollato alle pagine come pochi altri libri hanno potuto fare, cosa che ha valso la quinta stellina che vedete là in alto, accanto al titolo, e che lo pone fra le migliori letture di quest’anno.
La recensione assume poi toni un poco più seri e prende ad analizzare i racconti uno per uno.
Potete leggerla interamente qui.
Ritorno alla Mary Celeste recensito su Il flauto di Pan
Salpare a bordo della Mary Celeste significa intraprendere un viaggio avventuroso alla scoperta − o riscoperta − di alcuni archetipi dell’immaginario horror, completamente immersi in scenari da brivido.
Chi ha già avuto occasione di assaggiare la penna di Daniele Picciuti sa che parliamo di un autore particolarmente abile nell’affabulare e nel tenere sulla corda il lettore, capace di condensare sensazioni forti in spazi ristretti.
Così esordisce Miriam Mastrovito nella sua recensione su Il flauto di Pan. Già dalle prime righe devo ammettere di essere rimasto colpito dalle sue parole – generose – nei miei confronti. E, poco più avanti:
Rientrando nella metafora del viaggio, il percorso suggerito può dunque essere assimilato a un tour dell’orrore che snodandosi nello spazio e nel tempo ci pone a confronto con la Paura, intesa in varie accezioni, non mancando di accogliere nelle sue spire richiami, più o meno espliciti ai grandi maestri del genere.
Presentare ai miei lettori un “tour dell’orrore” è stato, in effetti, nelle mie intenzioni fin dal principio. Quando uso dire “salite a bordo della Mary Celeste”, condividendo il link al libro su facebook o su twitter, è proprio questo che intendo. Viaggiate con me, sull’onda delle mie parole scritte. Il tour dell’orrore ha inizio.
Ritorno alla Mary Celeste recensito su Demons of Paper
Non mi era mai capitato, finora, di ricevere una doppia recensione su una stessa vetrina web. Per questo, quando è apparsa la seconda recensione su Demons of paper non ho potuto esimermi dall’assumere un’espressione di stupore e forse pure un po’ ebete.
Qui di seguito riporto con molto piacere gli stralci di entrambe le recensioni. Oculate, a tratti critiche, ma che di fondo mi hanno colpito per la schiettezza delle opinioni.
Daniele Picciuti ha un modo di scrivere che mi piace moltissimo, riesce a trasmettere ogni emozione, riesce a mantenere con il fiato sospeso fino all’ultima pagina, ma ancora non sono riuscita a capire se il libro mi sia piaciuto o meno. Lo ammetto, le atmosfere ci sono tutti, i personaggi e le trame sono affascinanti, veri incubi che sorprendono e che lasciano l’amaro in bocca, ma alla fine mi sono domandata “e poi?”. Già, questo mi è sorto spontaneo. Non sono proprio riuscita ad arrivarne a capo.
È come se mi mancasse qualcosa, capito?
Eppure qua c’è tutto, ci sono personaggi che prendono e che coinvolgono, ci sono ambientazioni che fanno tremare, c’è ogni cosa.
Leggi tutta la recensione qui.
Capita di rado che un libro di racconti non mi dispiaccia o, ancor meglio, mi tenga incollata alle sue pagine fino alla parola fine. Fino adesso, mi era capitato solo una volta con “Il bar sotto il mare” di Stefano Benni perciò ero un po’ reticente all’inizio di questa lettura, ma c’è voluto ben poco perchè cambiassi idea.
Ritorno alla Mary Celeste è per l’appunto una raccolta di cinque racconti, tutti quanti pregni di inquietudine e di mistero, alcuni più di altri.
Leggi tutta la recensione qui.
Al mio tre scatenate l’Inferno (arringa no sense contro facebook, il sistema e l’editoria a pagamento)
Al mio tre scatenate l’Inferno.
Questo era Massimo Decimo Meridio, alias Russell Crowe ne Il Gladiatore (o forse era “via” o “segnale”, ma che importa?). Una massima che è diventata un must anche nel vivere quotidiano.
Quante frasi celebri hanno avuto un’evoluzione simile a questa? E a cosa è dovuto? C’è forse un bisogno primordiale nell’uomo di sovrapporre la fiction alla vita reale? Forse che questa realtà ormai così abbrutita non ci appartiene più? I profili facebook pullulano di notizie vere e false su ogni sorta di figura politica, l’italiano medio è ormai una marionetta in mano ai media ancor prima che ai governanti. Fa tutto parte di un sistema che ha più buchi di un groviera svizzero, c’è tanto da dimenticare in questa realtà, mentre dall’altra parte, sullo schermo o tra le righe di un libro, si celano mondi migliori del nostro. A volte peggiori, ma comunque diversi. E per una volta “diverso” diventa sinonimo di “migliore”, alla faccia dei benpensanti che hanno sempre visto nel “diverso” un mostro o una figura da evitare.
Ognuno di noi vorrebbe la nostra realtà “diversa”. Da qui la fuga in un altrove a noi più congeniale.
Qualcuno penserà che è un male, che fuggire non è la strada per cambiare, ma forse un cambiamento è già in atto e non può essere fermato. Abbiamo varcato il bordo di un precipizio da tempo e stiamo piombando giù a velocità folle, tutti insieme.
Ora, dopo quest’analisi sociologica spicciola, riprendiamo le redini del discorso iniziale, che sto divagando.
Scateniamo l’Inferno, dicevo.
Di inferni ce ne sono tanti. C’è un Girone apposito riservato agli Editori a Pagamento. Per la legge del contrapasso, tutti i condannati in quel limbo devono leggere ed editare gratuitamente tutti i romanzi che hanno pubblicato facendo pagare un contributo all’autore. E ogni singolo segno di bozza viene scavato sulla loro pelle da un ferro rovente. Cosicché i loro corpi divengano pergamene umane colme di correzioni. In modo che rammentino fino all’eternità la differenza tra ciò che sono stati e quello che avrebbero dovuto essere.
Ma sto fuorviando di nuovo, temo.
Non è facile quando si hanno tante idee in testa che sfarfallano all’impazzata in ogni angolo del cranio. Fermarle non è per niente facile.
Il post si è allungato a dismisura e non ho detto quello che volevo dire. O forse sì?
Ma, in fondo, è quello che succede quando cominci a strizzare i tasti andando a ruota libera.
In questi giorni sono molte le voci che vedo girare su facebook, parlano di raddrizzare la Costa Concordia, parlano di viaggi in posti impossibili, espongono gnocche di ogni tipo per dar risalto a questo o quel blog, dicono tante cose e ognuna racchiude in sé neppure la metà del senso che dovrebbe avere.
Voci che si sovrappongono, anche queste, a ruota libera.
Forse dovremmo fermarci per un po’, tutti. Non parlare. Pensare, certo. Riflettere. Che in fondo non è detto che tutto ciò che ci passa per la testa debba essere riportato in uno status pubblico. E forse io dovrei essere il primo, a smettere di picchiare su questi dannati tasti…
Oppure, è solo un momento. Una fase di transizione. un’aura di negatività destinata a finire. Come dice un’altra frase celebre, non può piovere per sempre.
Riddick: meno male che c’è Starbuck!
Se non l’aveste capito, Riddick non è che mi sia piaciuto molto. Parliamoci chiaro: Vin Diesel se la cava egregiamente con quella sua non-espressione, ma mi aspettavo un film coinvolgente, incapace di annoiare. Invece, per i primi venti minuti la poltrona diventa così comoda che quasi quasi ci si potrebbe addormentare. E quella voce narrante del nostro antieroe che commenta quanto gli è accaduto per coprire le scene silenziose – che forse sarebbero state più interessanti con una musica incalzante – è una vera tortura scorticaossa.
Poi arriva l’alieno iena-cane, fighissimo, che mi ha ricordato una certa creatura del mio libro di prossima uscita per Runa Editrice (non dico il titolo però!) e che ho preso subito in simpatia.
E poi, mostri qua e mostri là, e arrivano i mercenari. Idioti e spocchiosi quelli della prima astronave, cazzuti e integerrimi i secondi.
Tra questi – apriti cielo – ecco spuntare Katee Sackhoff, la Starbuck (Scorpion nella versione italiana) di Battlestar Galactica, abbigliata e acconciata nello stesso modo, un autentico tuffo nel mare della tranquillità, come incontrare una vecchia amica che ti fa sentire a casa. Anche se poi tranquilla non è, visto che spacca ripetutamente il naso al disgraziato di turno, nella fattispecie un odioso Jordi Mollà.
La nota lieta del film è che fa da legante ai primi due episodi, finora rimasti scollegati fra loro (Pitch Black e The Chronicles of Riddick). Il finale, finalmente movimentato, lo diventa anche troppo e una o due scene oltre i limiti del tollerabile purtroppo ci sono (ad esempio quando uccide il mercenario che gli sta, per giusti motivi, sulle palle).
Insomma, le creature aliene spaccano abbastanza – gli altri – ma non lui, che ha imparato a conoscerle nei giorni precedenti e sa come combatterle. Anche qui, forse fin troppo bene. Riddick rischia di passare da antieroe cazzuto a macchietta ammazzatutto.
Sicuramente un film che va visto, ma non è certo ai livelli di Pitch Black, a mio giudizio, fino a ora l’episodio migliore della trilogia.
I Racconti del Sangue e dell’Acqua si aggiudica il premio Io Scrivo
A volte le notizie arrivano così, all’improvviso. Rinverdendo una giornata uggiosa.
Ieri, primo giorno di ritorno al lavoro, Addio alle ferie. Macchina dal meccanico. Trasloco nella casa nuova ancora in corso. Giornata frenetica.
Nel Caos, ecco una luce piacevole. I Racconti del Sangue e dell’Acqua vince la quarta edizione del concorso letterario Io Scrivo indetto dal Blog Il Giallista.
Qui di seguito la classifica delle prime tre posizioni:
Lettura estiva: Codex Gilgamesh
Confesso di non avere una grande esperienza di letture di genere steampunk, sebbene mi intrighino sempre molto queste ambientazioni vittoriane colme di macchine e armi a vapore gigantesche e frastornanti.
Non avevo mai letto prima nulla dell’autore di questo Codex Gilgamesh, ma ho scoperto che Uberto Ceretoli aveva già pubblicato diverse cose, tra le quali due romanzi con la casa editrice Asengard.
Due premesse, quindi, che mi hanno spinto a osare e acquistare il libro.
Voglio iniziare col dire che mi è piaciuto. Ceretoli riesce a ricreare un’ambientazione particolareggiata ed evocativa al tempo stesso, pur utilizzando una quantità di termini desueti che, se da una parte rallenta e a volte ingolfa la lettura, dall’altra non può che calare il lettore ancor più in quel mondo alternativo che è riuscito a comporre, pezzo a pezzo. E l’impalcatura è salda, la documentazione che sta alla base delle nozioni fornite a chi legge è ben organizzata e a fine libro troviamo un’appendice con le fonti storiche e le forzature narrative messe in atto (cosa che un Dan Brown qualunque si guarderebbe bene dal fare, ingannandoci con le sue fantasiose -pur interessanti – congetture, spacciate per fatti storici assodati).
I personaggi calati sulla scena sono molti e, tra i nomi più importanti, ricordiamo quello di Leonardo Da Vinci (Dan Brown forse ne sarebbe lieto!), Cleopatra e Gilgamesh. Ma come non menzionare il folle Jumpin’ Jack e la gelida e letale Eudora, nonché il barone Victor Von Frankenstein, genio malvagio a cui si devono le resurrezioni di simili imperdibili personaggi.
La storia mi ha ricordato a tratti certe ambientazioni dei film di Indiana Jones, storie di archeologia e paranormale fuse insieme che sfociano nel mistico e nell’ultratecnologico. Il livello linguistico, come anticipato, è alto, forse eccessivo a volte, ma calza con l’epoca vittoriana e gli usi dei suoi abitanti. Spesso si ha l’impressione che alcune situazioni vengano reiterate un po’ troppo, qualche stonatura qua e là si nota, anche nei dialoghi e nelle battute fuori luogo, soprattutto dove l’azione è concitata, ma lasciatemi dire che sono aghi nel pagliaio.
La nota forse più dolente è, invece, non aver esplorato a fondo proprio i personaggi storici più importanti. Personalmente avrei tolto un po’ di scena a Jack in favore di Leonardo e della Regina Egizia. Da lettore, mi sarebbe piaciuto conoscerli meglio.
Nel complesso un buon libro che mi sento caldamente di consigliare.
Ritorno alla Mary Celeste (Dunwich Edizioni)
A due anni dall’uscita de I Racconti del Sangue e dell’Acqua, antologia che mi ha regalato belle soddisfazioni, torno ad annunciare una nuova pubblicazione monografica. Parlo di Ritorno alla Mary Celeste (Dunwich Edizioni). Siamo sempre nel campo dell’horror, genere a me congeniale, e stavolta vi presento una novella – più breve di un romanzo, siamo intorno alle novanta pagine – la cui trama si dipana a partire da un fatto storico reale che è stato, nel tempo, materia di leggenda.
Parlo della Mary Celeste, prototipo per eccellenza della nave fantasma. Per avere tutte le nozioni sul caso, vi segnalo questo articolo uscito su Nero Cafè.
Durante questo periodo di preparazione all’uscita del libro, diversi siti e blog mi sono stati di supporto nel creare un alone di mistero circa una possibile reale apparizione di questo veliero spettrale. Mi preme quindi ringraziare – come pure ho fatto all’interno del libro – tutti coloro che mi hanno reso questo piccolo omaggio: Alessandro Balestra, Roberto Bommarito, Luigi Bonaro, Elena Di Fazio, Paolo Di Pierdomenico, Bruno Elpis, Antonio Ferrara, Matteo Gambaro e Luigi Milani.
In calce a questa pagina troverete i link ai vari articoli.
Aggiungo che Ritorno alla Mary Celeste ospita anche i racconti L’occhio di Arge (già uscito nell’antologia Mistero, Il mondo digitale editore), Il sangue delle tenebre (5° classificato al Premio Courmayeur, 2000), Dove muore il giorno (3° classificato al Premio Algernon Blackwood, 2011) e l’inedito Reliquia. Dulcis in fundo, troverete anche la prima parte del racconto Il supereroe, di Diego Di Dio, quale assaggio della prossima pubblicazione Dunwich Edizioni.
Questa è la pagina facebook del libro.
Questa è la scheda sul sito dell’editore.
Ebook in vendita a € 1,99
Cartaceo disponibile a € 9,90
E ora, veniamo alla quarta di copertina.
Nel dicembre del 1872 la Mary Celeste fu avvistata al largo delle isole Azzorre che veleggiava senza nessuno a bordo. I marinai che la incrociarono riferirono l’assenza degli strumenti di navigazione e dell’unica scialuppa.
L’equipaggio era scomparso. Nessuno fu mai più ritrovato.
Oggi, estate del 2013.
Voci riferiscono di un avvistamento del brigantino fantasma, in quelle stesse oscure acque.
Carlo Stein, noto avventuriero e showman televisivo meglio noto come “il cacciatore di misteri”, è sulle sue tracce, deciso a riprendere dal vivo quello che sarà il servizio più eclatante di tutta la sua carriera.
Ma è una ricerca che non avrebbe mai dovuto intraprendere.
“Iniziava a pensare che la Mary Celeste non li avesse accolti per regalare loro una grande possibilità. Ora, tutto ciò che riusciva a immaginare era che li avesse scelti al solo scopo di divorarli.”
«Abile descrittore di scaglie perturbanti che emergono dalle sinapsi, Picciuti cala i suoi personaggi in una perfetta e goticissima ambientazione nostrana, a suo agio tra i suoi anfratti come un demone nell’abisso.»
Barbara Baraldi
«La caratteristica che più colpisce nella narrazione di Daniele Picciuti è il riuscito mix tra uno stile accattivante e maturo e il racconto dal sapore locale di tradizione nostrana.»
Horror Magazine
«Daniele Picciuti è davvero molto abile a tracciare in poche pagine delle storie che potrebbero essere spunti per la costruzione di un intero romanzo.»
Truefantasy
«I racconti di Daniele vibrano di familiarità.»
Danilo Arona
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BLOG CHE HANNO PARLATO DI CARLO STEIN E DELLA MARY CELESTE
Pacific Rim, questo grande parco giochi…
Un film dalla sceneggiatura banale, scontata, personaggi e situazioni che sono ormai stereotipi del genere. Ci sono i russi in stile Ivan Drago, i cinesi deficienti che giocano a basket – o erano thailandesi? Boh, durano troppo poco per capirlo – il bullo che deve prendere di petto il nostro “eroe” per farsi odiare un pochino e creare attrito nel gruppo, la ragazza dal passato tormentato, il comandante tutto d’un pezzo.
E poi ci sono i discorsi in stile Indipendence Day, gli atti di eroismo, i sacrifici per il bene dell’umanità, i personaggi-macchietta, un cameo di Ron Perlman come ne ha fatti tanti con quel sigaro tra le labbra – e per carità! meno male che c’è lui… – e tutto, tutto, tutto dannatamente prevedibile.
Quello che ti aspetti che accada, puntualmente si verifica. Non una sorpresa, non un colpo di scena. Tutto prettamente studiato per la commerciabilità del podotto. Perché è questo che la gente vuole. Semplicità, nessuna sorpresa in un film che deve divertire, nessun colpo basso in un prodotto che deve rispettare certe “regole” non scritte. E, soprattutto, nessun binario storto che possa buttarti giù da quelle che sono le montagne russe più divertenti di quest’anno.
Perché sì, Pacific Rim è un parco divertimenti, dove tutto è fatto per impressionare, trascinare nei combattimenti che sono immensi, mastodontici, così incredibilmente realistici nella loro maestosità da lasciarti a bocca aperta e occhi spalancati.
Questa, e solo questa, la forza del film.
Film che, mi giunge voce, ha praticamente rubato storia e idee all’anime Evangelion.
Chissà se i giapponesi si saranno risentiti o, anche loro, saranno rimasti in sala estasiati dalla grandezza degli effetti speciali.
Da Guillermo Del Toro mi sarei aspettato di più ma, forse, ha pensato di lasciare per un momento le opere d’autore per mettere in piedi uno spettacolo da botteghino. Nella speranza che possa fare abbastanza soldi da poterci regalare nel futuro qualche altra opera – vera – come Il labirinto del Fauno, voltiamo pagina e cataloghiamo Pacific Rim come un “capolavoro degli effetti speciali e degli stereotipi all’americana”.












































